Don Peppe Diana: il prete che sfidò la camorra, ucciso 30 anni fa

“Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”.

don Peppe Diana e il presidente Mattarella

Casal di Principe. Don Giuseppe Diana, al quale il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha reso omaggio recandosi sulla sua tomba, fu un sacerdote, scout, attivista antimafia ucciso dalla camorra a Casal di Principe nella sacrestia della parrocchia di San Nicola di Bari nel mentre si preparava a celebrare la messa nel giorno del suo onomastico, il 19 marzo del 1994.

Il suo omicidio, avvenuto alle 7.20 di mattina, segna un prima e un dopo nella battaglia contro la camorra e, in particolare, il clan dei Casalesi. Don Giuseppe Diana, per tutti Peppe, ha pagato con la vita il suo coraggioso impegno civile sancito nella lettera “Per amore del mio popolo non tacerò” diffusa nel giorno di Natale del 1991 in tutte le chiese della sua diocesi.

Giuseppe Diana nasce il 4 luglio 1958 a Casal di Principe da Gennaro e da Iolanda Di Tella. I genitori vivono lavorando la terra. Giuseppe è il primo di tre figli. Gli altri due sono Emilio e Marisa. Giuseppe entra nel seminario vescovile di Aversa nell’ottobre del 1968, appena compiuti i dieci anni di età, dove consegue la licenza media e quella classica liceale. La famiglia faceva enormi sacrifici per farlo studiare ma ai genitori interessava innanzitutto toglierlo dalla strada. Casal di Principe era un paese difficile. Tornava a casa solo a Pasqua e a Natale.

Dopo la licenza Liceale il giovane Giuseppe Diana entra nell’Almo Collegio Capranica di Roma per diventare sacerdote. Comincia a frequentare i corsi di Filosofia e Teologia nella Pontificia Facoltà Gregoriana. In un primo momento ci andò contento. Poi cominciò a ricredersi. Al ragazzo, che era  giovane allegro, gioviale, ma anche un po’ esuberante, quel clima austero del collegio e il distacco dal suo mondo, gli stavano un po’ stretti. Così cominciò a tempestare di telefonate la mamma perché non ci voleva più stare in quell’istituto. Alla fine tornò a casa.

S’iscrisse alla facoltà di Ingegneria dell’università Federico II di Napoli. Ma anche questo non gli bastava. Era sempre triste, pensieroso, finché un giorno andò da solo a parlare col vescovo di Aversa, Mons. Antonio Cece, che gli consigliò di attendere ancora qualche mese prima di rientrare in seminario. Ma lui rispose che la scelta l’aveva già fatta. Quello stesso pomeriggio se ne andò a Napoli, al seminario di Posillipo. Da allora non ebbe più incertezze sulle sue scelte.

Nel marzo 1982 viene ordinato sacerdote e nel 1989 diventa parroco della chiesa di San Nicola di Bari, nella sua Casal di Principe. Sono gli anni in cui imperversa il clan camorristico dei Casalesi del boss Francesco Schiavone detto Sandokan.

Nonostante le sanguinose faide interne, il clan è potentissimo, controlla i traffici illeciti di sostanze stupefacenti, gli appalti per lavori edili e riesce a infiltrarsi nelle istituzioni locali. Casal di Principe diventa in quegli anni l’epicentro di un sistema camorristico contro il quale si scaglia il giovane parroco.

A Natale 1991 don Peppe Diana pubblica la famosa lettera che viene diffusa in tutte le chiese della zona aversana e che diventa una sorta di manifesto dell’impegno contro quel sistema criminale.

per amore del mio popolo piccola

Nella lettera la camorra viene paragonata a una “forma di terrorismo” che riempie “il vuoto di potere delle istituzioni civili in disfacimento“, caratterizzate da “corruzioni, lungaggini e favoritismi“. Di fronte a tutto questo, don Peppe Diana rivolge un appello alla comunità civile e alla stessa Chiesa, chiedendo “ai preti nostri pastori e confratelli di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa“. Per la camorra quella lettera è un gesto di sfida che don Peppe Diana deve pagare con la morte.

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La mattina del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, mentre si prepara a celebrare la messa, il 35enne don Peppe viene sorpreso da un sicario nella sacrestia della sua chiesa e ucciso con quattro colpi di pistola.

omicidio don Peppe Diana La Stampa 20 marzo 1994

Le indagini sono segnate da diversi tentativi di depistaggi e di infangare la memoria del parroco. Il processo si conclude con la condanna all’ergastolo per Nunzio De Falco, ritenuto il mandante dell’omicidio, Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori, e la condanna a 14 anni per Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio che in seguito ha collaborato con la giustizia.

Il giorno dei funerali di don Peppe Diana, il vescovo di Acerra, don Antonio Riboldi, ebbe a dire parole profetiche: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”.

Il 25 aprile 2006 nasce a Casal di Principe il Comitato Don Peppe Diana, fondato da “persone e organizzazioni unite dal desiderio di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo“.

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