Conto corrente cointestato, di chi sono davvero i soldi anche se entrambi lo possono gestire? Occhio a un cavillo legale, potrebbe sorprenderti
Avere un conto cointestato è senza dubbio una soluzione pratica e vantaggiosa in molte situazioni. In effetti condividere un conto con un’altra persona – che sia il partner, un familiare o un socio – offre una serie di benefici in termini di gestione finanziaria, semplificazione e trasparenza. Ma allo stesso tempo, come spesso accade con tutto ciò che riguarda il denaro, dietro l’apparente comodità si nascondono dettagli legali che è meglio conoscere a fondo.

Un conto cointestato è un conto bancario intestato a più persone, ognuna delle quali ha il diritto di gestirlo come se fosse il titolare unico. Questo significa che ogni cointestatario può effettuare versamenti, prelievi, pagamenti e altre operazioni senza bisogno del consenso degli altri. È una soluzione molto pratica soprattutto per chi ha spese condivise o necessità di semplificare la gestione economica in famiglia o in un rapporto di collaborazione.
Immagina di condividere il conto con il tuo partner: se uno di voi deve saldare una bolletta, fare un acquisto urgente o persino prelevare contanti per un’emergenza, può farlo senza dover richiedere autorizzazioni o firme aggiuntive. Questo aspetto diventa particolarmente utile quando si tratta di situazioni che richiedono una risposta rapida, come il pagamento di un servizio o la gestione di una spesa imprevista. Inoltre permette di evitare rallentamenti e complicazioni, soprattutto quando uno dei cointestatari è momentaneamente impossibilitato a intervenire, ad esempio per motivi di lavoro o di salute. È questa libertà operativa a rendere i conti cointestati così diffusi e apprezzati in ambito familiare e professionale. Tuttavia, questa semplicità gestionale implica anche una grande fiducia tra i titolari, visto che ogni persona ha accesso pieno ai fondi, indipendentemente da chi abbia contribuito a depositarli.
Tra i vantaggi principali troviamo:
- Gestione semplificata delle spese comuni: ideale per coppie o coinquilini che devono condividere spese domestiche come affitto, bollette o la spesa.
- Maggiore accessibilità ai fondi: in caso di emergenze, entrambi i titolari possono accedere rapidamente al denaro.
- Controllo trasparente: ogni movimento sul conto è tracciabile e visibile a tutti i cointestatari, riducendo il rischio di malintesi.
Ma, nonostante questi aspetti positivi, esiste una domanda che spesso viene sottovalutata: di chi sono davvero i soldi depositati? E qui entrano in gioco alcuni dettagli legali che è meglio chiarire subito.
Di chi sono davvero i soldi di un conto cointestato?

Potresti pensare che i soldi presenti su un conto cointestato appartengano in parti uguali a tutti i titolari. In teoria, è così. Ma in pratica, la legge fa una distinzione importante: la titolarità formale (chi ha il diritto di gestire i soldi) non coincide sempre con la proprietà sostanziale (a chi quei soldi appartengono davvero).
Ad esempio se uno dei cointestatari versa sul conto l’intero stipendio, quei soldi, di fatto, appartengono a lui, anche se l’altro titolare può accedervi liberamente. Questo principio diventa particolarmente importante in situazioni delicate come separazioni, eredità o controversie legali. Un cointestatario potrebbe teoricamente prelevare tutto il denaro presente sul conto, ma ciò non significa che ne abbia il diritto legale.
Un caso frequente? Le dispute ereditarie. Immagina che un genitore anziano cointesti il proprio conto con uno dei figli per semplificare la gestione del denaro. Alla morte del genitore, il figlio cointestatario potrebbe sostenere che l’intera somma gli appartiene, mentre gli altri eredi potrebbero contestare questa affermazione. In questi casi il giudice tende a stabilire che i soldi vadano suddivisi secondo le quote ereditarie, a meno che non ci siano prove concrete di un’intenzione diversa.
Se su un conto cointestato il 70% della somma mensile è rappresentato dallo stipendio di un partner, mentre il restante 30% proviene dall’altro, la legge considera che, nonostante la gestione condivisa, la proprietà sostanziale dei fondi non sia automaticamente divisa al 50%. Infatti la parte del denaro riconducibile allo stipendio del primo partner (il 70%) è considerata legalmente di sua esclusiva proprietà, a meno che non venga dimostrata una chiara intenzione di donare o condividere quei fondi in modo diverso. Ciò significa che, in caso di controversie o separazioni, il primo partner potrebbe rivendicare quella percentuale come propria, a patto che vi siano prove documentali o tracciabilità delle fonti.